Ibicelle in genere

Da più di un decennio "Ibicelle&co" sono una straordinaria presenza tra le mie coltivazioni ed in questi anni ho maturato esperienze di semina, coltivazione e curiosità che condivido in questo articolo.     

di Rita Corino


TAG: drosos, drosos.it, rita corino, coltivazione piante carnivore, coltivazione, proboscidea, ibicella, martyniaceae, dewil's claw, artiglio del diavolo, drupa, semina, protocarnivora, carnivoria, Cyrtopeltis, Indiani d'America, Nativi americani, usi e consumi.

Introduzione

Quelle che chiamo impunemente "Ibicelle&co" sono specie appartenenti alla famiglia delle Martyniaceae, a cui afferiscono tre generi - Ibicella, Martynia e Proboscidea - comprendenti circa una dozzina di specie. Coltivo Ibicella lutea, Proboscidea louisianica e Proboscidea parviflora fin da principio mentre solo nel 2012 sono riuscita finalmente a procurarmi delle capsule di Martynia annua che ho seminato per la prima volta a maggio 2013. Sono tutte specie originarie per lo più delle zone desertiche e sub-tropicali del sud-ovest degli Stati Uniti d'America che hanno adottato caratteristiche eccezionali per adattarsi all’ambiente in cui si sono evolute per garantirsi un futuro florido.

Frutti e capsule
La prima caratteristica macroscopica delle ibicelle sono la forma del frutto maturo e la strana drupa poi. Il frutto assomiglia ad un unicorno, con la parte di "corno" molto accentuata e da cui prende il nome comune "unicorn plant"; man mano che matura, la polpa verde si stacca per lasciare spazio ad una drupa legnosa che tende ad aprirsi a metà mettendo in risalto le due estremità "cornute". 

 Frutti di Proboscidea louisianica ssp. fragrans capsula di Proboscidea parviflora, Ibicella  lutea, Proboscidea louisianica e Martynia annua
 Frutti di Proboscidea louisianica ssp. fragrans Da sinistra: capsula di Proboscidea parviflora, Ibicella
lutea, Proboscidea louisianica e Martynia annua.

Da queste caratteristiche derivano anche gli altri nomi comuni con cui sono riconosciute: "proboscidea" e "artiglio del diavolo" e per la capacità di aderire a superfici vengono chiamate "piante che fanno l'autostop" o in inglese "hitchhiker plants": la forma degli artigli e la superficie irta di spine permettono alle capsule di attaccarsi alle zampe degli animali ed alla loro pelliccia. Appare però chiaro che non sono presenti grandi animali dalla folta e calda pelliccia nelle zone aride in cui crescono "ibicelle&co", anomalia che è stata dichiarata come un anacronismo moderno: le specie animali a cui le piante di Martyniaceae si affidavano per la dispersione dei semi si sono probabilmente oggi estinte.

Semina  
La semina è banale e negli anni ho semplificato ulteriormente le mie tecniche, a seguito anche di un evento fortuito che mi ha fatto capire la semplicità con cui si opera la natura rispetto alle nostre coltivazioni artificiose. Ottenere i semi dalla terribile capsula, come già detto, è il compito più complesso e faticoso ma una volta liberati la strada è tutta in discesa. 
Occorre aprire la drupa per liberare i semi, azione non delle più semplici poiché essa è legnosa e molto coriacea, soprattutto dopo molti mesi dal raccolto. Suggerisco quindi di estrarre i semi il prima possibile, soprattutto prima che il legno della drupa si indurisca sempre più. La tremenda capsula è anche irta di spine per complicare a noi coltivatori la già non facile estrazione dei semi. Solitamente allargo gli "artigli" in modo da separare le due metà della drupa. In seguito, con un coltello o una punta libero i semi nascosti sotto la "linguetta" altrettanto coriacea e ben ancorata.

Drupa aperta (Proboscidea parviflora), semi superiori e lamella. Drupa aperta a cui ho tolto la prima fila di semi. Sotto la lamella, la sequenza inferiore di semi.
Drupa aperta (Proboscidea parviflora), semi superiori e lamella. Drupa aperta a cui ho tolto la prima fila di semi. Sotto la lamella,
la sequenza inferiore di semi.

Dall'immagine della drupa aperta si nota anche che una prima fila di semi riesce ad uscire facilmente dal loro contenitore e germinare appena la stagione si fa favorevole. Un lamella legnosa però nasconde un'altra fila di semi che rimane dentro la capsula fino a quando questa non si decompone o viene in qualche modo demolita da agenti esterni o animali. I semi lì nascosti raggiungeranno il terreno e germineranno sicuramente nel futuro, e anche forse più lontano, rispetto alla prima fila di semi garantendo così alla specie una più lunga permanenza sul pianeta! Tutti questi stratagemmi risultano geniali e divertenti da apprendere...fino a quando non si ha a che fare con una "indiavolata" drupa da cui estrarre manualmente i semi! 

Martynia annua si è per me dimostrata essere la capsula più tenace da aprire: ho dovuto tenere tutta la drupa in acqua per diversi giorni per ammorbidirne l'esterno il cui legno diventa decisamente elastico da bagnato. Con estrema difficoltà ho diviso in due "l'essere diabolico" ed estratto i semi con un punteruolo. Ovviamente in acqua anche i semi, che sono decisamente meno coriacei del contenitore, si sono molto ammorbiditi e con il punteruolo ne ho distrutti buona parte.

Prima della semina tengo in ammollo i semi in acqua a temperatura ambiente per due o tre giorni, al termine dei quali appoggio 4-5 semi su vasi di circa 10 cm di diametro riempiti di terriccio comune ben concimato, ricopro i semi con un centimetro dello stesso terriccio e bagno abbondantemente fino a che le piante germinano, ciò avviene quando la temperatura giornaliera si assesta sui 25° C.

Semi di Ibicella lutea (neri) e Proboscidea parviflora (bianchi) in acqua  per 24-48 ore Semi di Ibicella lutea (neri) e Proboscidea parviflora (bianchi) in acqua  per 24-48 ore
Semi di Ibicella lutea (neri) e Proboscidea parviflora (bianchi) in acqua
per 24-48 ore
I semi prima della semina

In un paio di settimane i semi germinano e sposto le plantule in vasi di dimensioni decisamente più grandi.
Nell'estate del 2012 avevo tenuto per me diverse piante che hanno prodotto un sacco di frutti che con l'autunno ed il brutto tempo non mi sono più ricordata di raccogliere. Ho quindi lasciato la pianta ormai secca e gli ultimi frutti abbandonati nei vecchi vasi per tutto l'inverno all'aperto e senza più curarmene.
Con l'arrivo della primavera, dispiaciuta dal dover buttare via terriccio neanche troppo vecchio e drupe piene di semi, ho aperto le capsule legnose rese morbide da neve e pioggia e sparpagliato i semi nei vasi stessi. Non mi sono mai germinate Ibicella lutea e Proboscidea parviflora  così in fretta e così in abbondanza! 
Ed in tutta onestà credevo che il freddo dell'inverno avrebbe danneggiato i semi di questa pianta originaria del sud degli Stati Uniti d'America dove il clima è certamente molto più caldo rispetto all'inverno italiano, invece ho ritrovato drupe molto più facili da maneggiare. Naturalmente tengo conto del fatto che l'inverno 2012-2013 è stato decisamente mite.

Ibicella lutea appena germinata Proboscidea parviflora appena germinata
Ibicella lutea germinata da una settimana Proboscidea parviflora germinata da una settimana

Così, i primi anni di semina, dopo aver tenuto i semi in acqua li liberavo dal tegumento esterno per facilitare la semina ma l'esperienza dell' "abbandono invernale" mi ha dimostrato che è un lavoro del tutto inutile. Da allora non elimino più il tegumento e i semi germinano comunque in abbondanza. Questa esperienza mi ha anche insegnato che quando non tutti i semi germinano, l’anno successivo mi ritrovo invasa di pianticelle.

Coltivazione
La coltivazione è molto semplice: pongo le piante in un vaso capiente pieno di terriccio comune e ben concimato e bagno con acqua di rubinetto solo quando il terriccio è asciugato da almeno una giornata, in posizione calda ed assolata. Sono piante molto robuste che in estate fioriscono copiosamente.
Purtroppo in inverno si deve scegliere se lasciar morire la pianta oppure provare a riparla dal freddo. Io scelgo di non coltivare la pianta in inverno dato che in estate ha raggiunto dimensioni notevoli ed è diventata appiccicosa e non sempre profumata. 

Essendo questo un sito dedicato alla mia passione per le piante carnivore che vanno bagnate solo con acqua povera di sali, coltivate per lo più in torba di sfagno e quasi mai concimate, ci tengo a mettere l'accento sulla coltivazione delle specie in oggetto: "Ibicelle&co" si coltivano in terriccio comune ben concimato e bagnato con acqua dura. Non è un errore nè di scrittura nè di coltivazione.

Pianta adulta di Ibicella lutea Pianta adulta di Proboscidea parviflora
Pianta adulta di Ibicella lutea. Coltivata in vaso. Pianta adulta di Proboscidea louisianica. In vaso.

Impollinazione

Per l'impollinazione occorre prelevare il polline con un pennellino e posarlo sull’ingresso dell’ovario. Il polline si trova nella parte superiore-posteriore del calice ed in coltivazione deve essere prelevato in profondità con un pennellino; lo stigma in queste specie è formato da due lamelle simili a sensibili labbra dischiuse su cui appoggiare il polline. Queste due lamelle ad un lieve tocco si chiudono rapidamente per non riaprirsi più, è sufficiente sfiorarle o un po’ di pioggia o vento per farle chiudere. In altri articoli ho letto che se l'impollinazione non va a buon fine lo stigma si riapre, a me non è mai capito. Reputo quindi che le lamelle una volta chiuse non si riaprono più nemmeno sforzandole a mano, si rompono ma non si vede più l’ingresso dell’ovario. Questa è un’ottima strategia che evita l'autoimpollinazione a favore di rimescolamento genetico vantaggioso per la progenie, ma naturalmente non facilita il compito a noi umani. Nel disegno che segue ho provato a stilizzare la sezione laterale del fiore di Martynia per meglio illustrare la posizione del polline rispetto al calice.

Schema fiore ibicella

Schema sezione fiore. 1= lamelle ingresso dell'ovario,
2= polline, 3= apertura del fiore, 4= calice e stelo.

In natura sono le api ed i calabroni che impollinano il bel fiore delle specie della famiglia delle Martyniaceae.

Fiore Proboscidea louisianica Fiore di Ibicella lutea
Fiore di Probloscidea louisianica. Nel circoletto rosso è
evidenziata la struttura delle due lamelle su cui depositare il polline.
 Fiore di Ibicella lutea. Nel circoletto rosso è
evidenziata la struttura delle due lamelle su cui
depositare il polline.
Fiore di Proboscidea parviflora Fiore di Proboscidea louisianica ssp. fragrans
Fiore di Proboscidea parviflora. Fiore di Proboscidea louisianica ssp. fragrans

In luglio sono riuscita a fare tre foto successive all'ingresso dell'ovario di Ibicella lutea man mano che si chiudeva dopo la stimolazione di un agente esterno, come ad esempio il pennellino usato per impollinarle. Eccole:

Fiore Ibicella lutea Fiore Ibicella lutea Fiore Ibicella lutea
Le lamelle all'ingresso dell'ovario sono completamente aperte.... ...dopo la stimolazione di un agente esterno iniziano rapidamente a socchiudersi... ...dopo pochi istanti sono quasi completamente chiuse. Anche sforzandole a mano è impossibile riaprirle.

Sia in natura che in coltivazione gli impollinatori che più di frequente visitano i fiori delle Martyniaceae sono i calabroni. Nel video che segue sono riuscita a riprenderne proprio uno che fa egregiamente il proprio mestiere anche in Italia! Clicca sull'immagine per far partire il video.

Crescita miracolosa delle piante nel 2013

Probiscidea parviflora Ibicella lutea
P. parviflora coltivata in piena terra I. lutea coltivata in piena terra

Per la prima volta nel 2013 ho potuto coltivare “Ibicelle&Co” in piena terra: il risultato è stato sorprendente! La semina l'ho fatta in vaso e quando le plantule hanno raggiunto l’altezza di tre-quattro centimetri, ho spostato sia Ibicella lutea che Proboscidea parviflora in un'aiuola del giardino. Non mi sarei mai aspettata una crescita così vigorosa e rapida...ed a vista d'occhio. In meno di un mese le due piante hanno coperto una superficie superiore ai due metri quadrati ciascuna. Le foglie hanno dimensioni enormi e la fioritura, soprattutto per I. lutea, è tanto rigogliosa al punto che non riesco ad impollinare tutti i fiori. Nonostante ciò i fiori che non riesco ad impollinare danno comunque origine a frutti con semi che mi porta a dire che anche in Italia i calabroni fanno il loro dovere, originando però ibridi che non ho ancora fatto in tempo a seminare.La terra dell'aiuola era appena stata riportata e riccamente concimata, sicuramente di aiuto per le piante, e le ho bagnate abbondantemente fin dall'inizio dell'impianto. La grande dimensione delle foglie ed il colore permettono di apprezzare meglio le differenze morfologiche delle due specie, facilitando il riconoscimento anche quando le piante non sono in fioritura.

Foglia di Proboscidea parviflora Foglia di Ibicella lutea
Foglia di Proboscidea parviflora Foglia di Ibicella lutea

Essendo le piante cresciute troppo andando fino ad invadere i vialetti del giardino ho dovuto, purtroppo, potarle con decisione scoprendo così che internamente i rami sono cavi e fungono da riserva d'acqua:

Piante di bicella lutea in primo piano, sullo sfondo Proboscidea parviflora. Ramo reciso cavo di Ibicella lutea

Piante di bicella lutea in primo piano, sullo sfondo Proboscidea parviflora.

Ramo reciso cavo di Ibicella lutea.

 La fioritura ed i frutti del 2013:

Fioritura Ibicella lutea fruttificazione copiosa di Ibicella lutea
Fioritura Ibicella lutea... ...e fruttificazione copiosa di Ibicella lutea.

I frutti maturi si distinguono molto facilmente. Quello di I. lutea è corto e tozzo, mentre quello di P. parviflora ha forma più allungata e snella.

Frutto Ibicella lutea Frutto Proboscidea parviflora
Frutto maturo di I. lutea. La forma del frutto è più corta e tozza.

Frutto maturo di P. parviflora. La forma del frutto è più allungata e snella.

Carnivore?

No! Non sono piante carnivore in senso stretto...o forse non lo sono ancora. E' palese che sia le foglie che i rami di queste piante sono ricoperte da peli che producono sostanze collose con cui la pianta intrappola piccoli insetti come moscerini e formiche con la stessa strategia dei generi carnivori Drosera e Pinguicula, è però dimostrato che allo stato attuale le prede non vengono decomposte da enzimi prodotti dalla pianta nè in alcun modo riassorbite. Quindi non posso essere classificate come piante carnivore; si potrebbe supporre che tali piante si stiano evolvendo come carnivore e che forse in futuro produrranno strutture in grado di decomporre ed assimilare le prede catturate catturate oppure che abbiano semplicemente adottato questa strategia per difendersi dai parassiti dato che anche il fiore, ad esempio in Ibicella lutea, è colloso.

Foglie, rami e fiori di Ibicella lutea Foglie, rami e fiori di Ibicella lutea
Foglie, rami e fiori di Ibicella lutea intrappolano migliaia di piccoli moscerini.  

E' molto interessante un esperimento effettuato dallo studioso Barry M. Rice in cui appoggiando pezzi di pellicola fotografica su una foglia di una Drosera e su una foglia di Ibicella lutea si nota come dopo qualche giorno la pellicola fotografica su Drosera risulta danneggiata mentre quella appoggiata su Ibicella rimane integra. Questo è dovuto alla presenza di proteine animali sulle pellicole fotografiche: gli enzimi di Drosera ne iniziano la digestione, quelle di Ibicella no. Un esperimento semplice e non scientifico a riprova della mancanza di enzimi digestivi sulle foglie dell'Ibicella. L'articolo di Barry M. Rice si intitola: "Barry M. Rice, Testing The Appetites of Ibicella And Drosophyllum." ed è linkato nella bibliografica in coda all'articolo.

Cyrtopeltis, Forma giovanile di Cyrtopeltis su Ibicella

Forma giovanile di Cyrtopeltis su Ibicella.
Immagine linkata da: http://www.sarracenia.com/faq/faq5720.html

Quindi non possiamo definire le specie di Martyniaceae come carnivore vere e proprie però Berry M. Rice ha notato la convivenza della pianta con animali di specie appartenenti al genere Cyrtopeltis  che potrebbero aver instaturato una cooperazione simile a quella già nota tra Roridula e Pameridea: l’animale, che grazie a zampe piu’ lunghe dei peli appiccicosi riesce a muoversi senza rimanere intrappolato, approfitta degli insetti catturati dalla pianta e con le sue deiezioni concima la pianta che lo ospita.

Usi
I nativi americani usano i frutti della Proboscidea come alimento: quando il frutto è ancora verde viene cucinato fritto ed anche i semi sono utilizzati per produrre olio. Molto più originale è l'uso che ne viene fatto per realizzare deliziosi cestini intrecciando foglie secche di yucca (di colore chiaro) in contrasto con la parte di "artiglio" della Proboscidea, usato ammorbidito dopo molte ore in ammollo in acqua (di colore scuro, quasi nero). A questo link è disponibile una bella immagine di uno dei cestini realizzati: link immagine cestino.


Bibliografia
W.P. Armstrong, Wayne's world, Devil's Claw: articolo web.

Barry M. Rice, Testing The Appetites of Ibicella And Drosophyllum. Giugno 1999: articolo web.

Barry M. Rice, Reassessing commensal - Enabled carnivory in Proboscidea and Ibicella? - CPN 36, Marzo 2008: articolo web.

Barry M. Rice, The Carnivorous Plant FAQ v. 11.5: articolo web.

Drosos.it di Rita Corino